venerdì 12 dicembre 2014

LA MITICA LEGGENDA DI RAMA

Alcun li vogliono provenienti dall'India, altri ne ipotizzano l'origine atlantidea: sia come sia, è un fatto che ancora oggi si parli, anche sui quotidiani, della mitica città di Rama, che sarebbe sorta nella val di Susa (zona negli ultimi tempi agli onori -meglio, agli oneri- delle cronache per motivi assai meno affascinanti). La città sarebbe stata edificata alle pendici dell'aspro Rocciamelone (da Roc-Maol, per chi propende per un’origine celtica), con enormi massi di pietra perfettamente squadrati e collocati uno sull'altro con una tecnica d’alta ingegneria analoga a quella usata in Egitto, in Asia, in Sudamerica. Si favoleggia che possedesse lunghissimi portici che si estendevano dall'attuale paese di Bussoleno fino a Bruzolo e terminavano sulla riva destra della Dora Riparia, e che avesse una notevole vita commerciale e culturale, con tanto di università e biblioteche. Già nel secolo scorso, parecchi ricercatori si occuparono dell'enigmatica questione con l'intento di reperire testimonianze e fatti concretamente dimostrabili che ne avvalorassero l'esistenza, ma è  certo che, come spesso avviene, si è finiti sovente per mandare la fantasia aldilà degli effettivi ritrovamenti e delle prove documentarie. Si è detto che alcuni studiosi nel secolo passato abbiano avuto la fortuna di vedere uno degli antichissimi testi e di averne copiato poche parti, ovviamente indecifrabili. Tuttavia, il testo è irrintracciabile. Si è detto che la vetta del Rocciamelone fosse riservata a sacerdoti e sapienti, che presso l'attuale Bosco Nero esistesse un giardino simile a un paradiso terrestre, che gli abitanti della città fossero scuri di pelle, con lo sguardo fiero e una bellezza non comune, immunizzati dalle malattie ed esperti nel sapere, nella magia e nell’alchimia, e quant’altro. Alcuni ipotizzano che, in fuga dalla catastrofe di Atlantide, si siano fermati in val di Susa, avendo trovato in loco un raro materiale che essi impiegavano per i loro scopi segreti e che dunque scavarono vere e proprie miniere: ancora oggi i vecchi valligiani ci tramandano una serie di fatti leggendari tra cui si narra che i loro enigmatici strumenti di lavoro (che sfruttavano la luce, forse una sorta di laser), siano rimasti sepolti in quelle fantomatiche cave estrattive e si dice che i Romani effettuarono delle ricerche nel Bosco Nero per cercare tali strumenti. Purtroppo, però, a suffragare questa o quella ipotesi, dal punto di vista squisitamente materiale, c’è poco. Cosa che peraltro non pare scoraggiare i più entusiasti. La fantastica Rama, dicono del resto alcuni studiosi dell'Ottocento, scomparve all'improvviso, distrutta da un diluvio che provocò enormi frane sulla montagna precipitando masse spaventose di terra e roccia che seppellirono tutto. Altri parlano di un terremoto, con i medesimi effetti. Alcuni citano a sostegno dell’esistenza di Rama le credenze raccolte fra i valligiani che vorrebbero il ritorno di un personaggio dai poteri sovrumani, cosa riportata anche nelle Memorie mirabili dell'Abate Francis del 1789, dove, dopo aver ricordato la leggenda di Fetonte, si tratterebbe della venuta di genti dall’Atlantide, della fondazione e successiva distruzione della loro città. C’è anche chi sostiene che in val di Susa ci siano alcune persone deputate a tramandarsi, di generazione in generazione, il segreto di Rama. Ma cosa abbiamo, concretamente, in mano, per dare effettivamente corpo alle leggende? È assodato che la zona è estremamente ricca di cocci, ceramiche, frammenti di mattoni e di marmo, persino colonne, e materiale -c’è chi dice- a tonnellate, ad esempio fra Caprie e Novaretto. Ma a quanto pare, di epoca romana. Ci sono i nomi delle borgate locali, che sembrano ricordare antiche attività: Fournel (fonderie: vi si sono rinvenuti stampi in pietra ed un'ascia); Muni (fornace per vasi e mattoni: in zona sono stati rinvenuti moltissimi cocci); Lajet (laghetto dal cui bacino un acquedotto, di cui si sono trovati alcuni resti); Ulié (in tempi antichi vi esisteva un frantoio per la produzione dell'olio di noci e nocciole); monte Caprasio (dagli allevamenti). I monti circostanti offrivano ricche miniere: rame in località Sciò; pirite alle Roche neire, addirittura oro (Coumba d'or). Alcuni ipotizzano un’origine celtica: la presenza celtica in zona è accertata, e nelle descrizioni ottocentesche c’è ancora il ricordo del grande tempio di Malano. Poi vennero i Romani, che potrebbero avere ampliato ed abbellito la città con fontane, acquedotti e colonnati di marmo bianco e grandi strade selciate. In quanto al nome, difficile stabilire da dove sia nato. Alle pendici del magico Musiné c'è un bosco Rama accanto a una cava di opale, una vecchia trattoria intitolata da sempre Alla città di Rama e un pianoro su una collina soprannominato truch 'dla Rama. Ma cosa resta oggi di Rama? Innanzitutto il ricordo, tramandato di generazione in generazione, d’una città bellissima, più importante di Torino. Ma dov'è finita? Perché non ne restano che cocci e mattoni frantumati? Lungo la strada che porta a Novaretto, in alcuni punti, affiorano da ambo i lati i resti di muraglie che la costruzione della strada ha interrotto e tagliato a metà. Questi ruderi sono visibili a più riprese, per un lungo tratto. Sappiamo con certezza che la storia di Rama è sotto le zolle. Tutto ciò che della città è noto, è soltanto la storia della sua distruzione: prima ad opera dei barbari, e poi definitivamente spianata dai Franchi. Al passaggio di Carlo Magno, Rama non esisteva già più. Scritti di fine Ottocento di studiosi delle tradizioni piemontesi citano la testimonianza di pellegrini che giungevano da varie parti della terra per rendere omaggio ad un culto misterioso che esisteva nel cuore della val di Susa: parlano di eroi nordici, di Egizi, Druidi e di sapienti venuti dall'India, di una città ciclopica simile a Machu Pichu e Tihauanaco, con mura alte decine di metri, di abitanti che possedevano conoscenze misteriose e che scavavano incessantemente nelle viscere del Musiné per qualche motivo che conoscevano solo loro. Si racconta pure che possedessero farmaci in grado di vincere qualsiasi malattia e che fossero in grado di difendersi con la forza del fulmine. Quando la terra di origine di questo misterioso popolo, Atlantide, scomparve, Rama fu abbandonata. Palazzi e mura furono progressivamente abbattute dalle culture pagane e poi cristiane che si affacciavano sulla valle, trasformate in un’inaspettata e gigantesca cava di pietra pregiata. Rimase più o meno intatto sino al primo medioevo un modesto segmento delle mura di Rama, usato dai signori della guerra del tempo per controllare il transito nella valle. Poi anche quest’ultima vestigia fu inghiottita. Oggi rimane qualche tempio di tipo megalitico; molte "ruote solari" simili alle “ruote della medicina” degli indiani d’America; strani sarcofagi di pietra con dentro scheletri di tre metri e complessi di pietra dal significato non ancora chiarito. E proprio in zona si trova il Musiné, la montagna che sembra segnare il punto di impatto della caduta del bolide celeste ricordata dal mito di Fetonte. Oggi montagna brulla, dal colore rossiccio, sormontata da una grande croce, è il punto focale di vecchie e nuove credenze: molti affermano che al suo interno esistano delle caverne naturali dove cavalieri medievali nascondevano tesori. Altri affermano che dentro la montagna si celerebbero grotte alchemiche popolate da maghi dai poteri straordinari, rifugi in cui sopravvivrebbero ancora oggi i discendenti di Atlantide, e basi di astronavi extraterrestri (numerosi gli avvistamenti di ufo sopra la montagna). E molte scuole esoteriche considerano ancora oggi la zona della Val di Susa e del Musiné un vero e proprio luogo sacro alla stregua della Big Seated Mountain americana, dell’Ayers Rock australiana ecc. Il Musiné (cui viene dato anche l'attributo di hamtà, porta dimensionale, attraverso la quale gli uomini possono comunicare con la dimensione invisibile e con altri mondi abitati) è considerato un “ombelico del mondo”, un punto di unione tra cielo e terra da cui sarebbe uscito anticamente lo spirito dell'uomo. (Tratto dalla rivista New Corriere dei Lidi)

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