lunedì 9 novembre 2009

Il “Riccardo I”, lo storico natante, prossimo a festeggiare il secolo di vita (fu costruito dalle abili mani dei maestri d’ascia dei cantieri navali Emilio Marchetti di Chioggia nel lontano 1910), dichiarato monumento nazionale, per ben 2 volte nell’arco di 2 giorni, è andato a picco (vedi foto). Nonostante il pronto intervento dei tecnici comunali, che lo avevano, l’altro giorno, rimesso in sesto, ha ceduto nuovamente. “Ringrazio, a nome della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romaga, il personale del Comune di Comacchio – dice visibilmente scosso Vittorio Zappata, “padre” di questa “creatura” superstite della vecchia flotta di imbarcazioni comacchiesi – ma penso sia giunto il momento di accorrere al capezzale del “Riccardo” per dargli non l’estrema unzione ma le necessarie cure del caso. E’ come se a un anziano, sofferente di malattie croniche, noi negassimo l’assistenza e la terapia giusta. Da circa 3 lustri il Riccardo ha assolutamente bisogno di un restyling al fondo e alle pareti, che col tempo, si presetano usurate e piene di falle. Ecco perché avevo suggerito di sollevarlo e collocarlo su una piattaforma galleggiante, in modo da poterlo rimettere in sesto, una volta per tutte. Diversamente, rischia di affondare inesorabilmente, come è successo in questi giorni. Mi piange il cuore a vederlo in quelle condizioni, anche perché su questo natante hano vissuto e lavorato generazioni di persone. Questo battello ha sfidato ogni genere di insidia, percorrendo migliaia e migliaia di chilometri, carico di merci di qualsiasti tipo”. A Comacchio, di battelli come il Riccardo, fino agli anni Cinquanta, ce n’erano a decine; poi, con l’incipiente progresso sono venute meno le cooperativa di barcai, che davano da mangiare a centinaia di famiglie. L’unica barca superstite è appunto quella che staziona da alcuni anni a questa parte sul canale Lombardo, riconosciuta dallo Stato come Bene Etnoantropologico con decreto ministeriale del 30 aprile 2004. Un Bene che va salvaguardato e curato a dovere, frutto della passione e dei sacrifici dell’ultimo Paròn, Zappata appunto, che ha coronato un sogno, grazie al contributo della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Bologna: quello cioè di avere ottenuto lo staus di bene culturale da parte dello Stato e quindi patrimonio della collettività per le generazini future, monumento di una tradizione: quella dei barcaioli che non c’è più.

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