venerdì 26 dicembre 2014

SAN GIUSEPPE

Frazione del comune di Comacchio, si trova lungo la strada statale Romea e dista dal capoluogo circa sei chilometri. Fino al 1660 fu immersa in un bosco d’elci che dopo tale epoca venne quasi completamente estirpato e il terreno ridotto a coltura, soprattutto a vigneto, dove si produceva il famoso vino delle sabbie. San Giuseppe, da tempo imprecisabile, è denominato La Fontana (Le Funtane). Tale appellativo deriva dal fatto che la zona era ricca di fontane d’acqua dolce cui attinsero fino a pochi decenni or sono le genti di Comacchio. Un grande pozzo si trovava nella “fossa dei Pelandri” (in ti Plander). L’acqua, nelle botti, veniva trasportata in barca lungo il canale fino a Comacchio. Ecco perché tale canale, attualmente chiuso, venne denominato al caneal dlà bote (il canale della botte). Detto pozzo fu chiuso con la costruzione dell’acquedotto. Il comune di Comacchio, a ricordo della famosa fontana, ha denominato la strada principale Stradone della Fontana e nel 2008 ne ha fatta costruire una di grande pregio ornamentale al centro del paese. La chiesa di San Giuseppe, che si trova lungo tale via, fu edificata nel 1747 e il 2 gennaio 1748, monsignor Cristoforo Lugaresi, vescovo di Comacchio, la consacrò. Il 19 marzo di ogni anno ricorre la festa patronale. A tale ricorrenza i Fontanari dedicano, da sempre, la massima attenzione e tripudio e nei tempi passati la vivevano in maniera particolare. Infatti, se in altre festività il lavoro dei campi poteva continuare regolarmente, il 19 marzo nessuno osava toccare un attrezzo. Tutto iniziava nelle prime ore del mattino, durante le quali la gente riempiva la piccola chiesetta del paese per partecipare alla Messa. L’osservanza del precetto, anche se per molti era pura consuetudine, veniva regolarmente rispettata. Le sdore, quelle belle donne robuste, rosse in volto, che sprizzavano salute da tutti i pori, preparavano il desinare delle grandi occasioni. Era abitudine molto vecchia invitare gli amici con cui si intratteneva un rapporto di fiducia. Dopo mangiato, tutti in piazza. I primi a lasciare la tavola erano i bambini che, con qualche soldino dato loro dai genitori, si avviavano ad acquistare i dolciumi esposti nelle bancarelle. Uscivano, poi, i giovanotti che, appena in piazza, si sarebbero diretti verso la giostra -il calcinculo-, poi i fidanzati. Per ultimi i genitori, i quali, ultimate le faccende domestiche, raggiungevano la piazza a  braccetto. Entrambi avevano un còmpito: guardare attentamente la figlia fidanzata perché non si allontanasse più di tanto, e inoltre i ragazzi perché non venissero “a botte” con altri dei paesi limitrofi. Per il giorno di S. Giuseppe pareva esistesse una consuetudinaria regola atmosferica: per tre giorni continuativi soffiava la bora (è un fenomeno che si verifica tutt’ora) tanto è vero che un detto popolare dice l’ha le buere ad S. Giusaf (è la bora di S. Giuseppe). Era raro che quel fastidioso vento non infastidisse lo svolgersi della festa. Oggi la festa patronale è cambiata: si allestiscono mostre, spettacoli d’intrattenimento (esibizioni canore, sfilate di moda), assaggi di vini prettamente locali, giostre di vario genere, bancarelle con ogni sorta di ben di Dio ecc. Ma nei Fontanari anziani rimane nel cuore il ballo sull’aia, l’aroma del fumo dei sigari e delle pipe degli avventori seduti ai tavoli delle osterie, la gioviale attesa dei bambini e dei ragazzi per l’arrivo della giostra, i teneri approcci e gli incontri tra i giovani fidanzatini, l’entusiasmo irripetibile per quei giorni quando, in ogni angolo della campagna, vi era sapore ed aria di festa. (Tratto dalla rivista New Corriere dei Lidi)

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