lunedì 2 marzo 2015

Il corsaro gentiluomo che salvava i naufraghi di Acquirino Felisatti

Era il 16 ottobre del 1940. Il sommergibile si chiamava “Cappellini”; lo comandava uno dei più incredibili personaggi della seconda guerra mondiale, il capitano di corvetta Salvatore Todaro, l’ultimo dei corsari gentiluomini. Pochi giorni dopo il “Kabalo” inviava a Todaro una lunga lettera di ringraziamento e i giornali di tutta Europa raccontavano l’episodio come un barlume meraviglioso di umanità e cavalleria in una guerra spietata. Gli unici a protestare per questo comportamento antimilitare furono i nostri alleati tedeschi; il comandante Todaro mandò loro a dire che il loro atteggiamento si spiegava solo col fatto che non avevano alle spalle duemila anni di civiltà. Barbari o qualcosa di simile. Detto nel 1940 aveva un peso e un significato. Salvatore Todaro è senza dubbio uno dei personaggi più affascinanti e sconcertanti che la Marina Militare Italiana abbia avuto durante il conflitto. Non era un novellino, anzi. I marinai erano capaci di qualunque trucco, pur di essere imbarcati con lui. Lo provano decine di testimonianze di suoi colleghi e degli stessi marinai. Tutto ciò nulla toglie allo straordinario coraggio di quest’uomo, autore di decine di imprese memorabili. Salvatore Todaro aveva poca fiducia nei siluri. Per questo, gran parte delle sue azioni di guerra furono condotte allo scoperto con lotta in superficie, a cannonate. Una tattica che faceva inorridire gli strateghi della guerra sottomarina. A cannonate fu affondato il “Kabalo”, affrontato a viso aperto. Quando affondò, Todaro ordinò che si prendesse a rimorchio la lancia sulla quale avevano preso posto i superstiti e i naufraghi, ventisei in tutto, ma non si limitò a questo. Li trainò nella notte, a velocità ridotta, in pieno Atlantico, diretto verso Santa Maria delle Azzorre, dove aveva intenzione di sbarcarli. Il cavo di collegamento si spezzò due volte: Todaro ordinò al suo equipaggio di tornare indietro e, visto che la lancia non reggeva più il mare, li fece salire a bordo e sistemò in coperta tutti naufraghi, navigando in emersione per due giorni, rischiando un avvistamento. Alle Azzorre mise a disposizione dei naufraghi un battellino e, quattro alla volta, li fece trasportare a terra, poi riprese il mare. L’episodio si ripeté, con cadenze pressoché identiche, all’alba del 5 gennaio 1941. Il “Cappellini” è in perlustrazione sulla rotta dei piroscafi che trasportano uomini e materiale bellico. La zona, questa volta, è l’Atlantico centrorientale. Avvistato il piroscafo “Shakespeare”, Todaro ordina l’attacco: come al solito in superficie, a cannonate. Lo “Shakespeare” è ben armato e risponde bene, ma il sommergibile italiano si fa sotto, dove la portata dei suoi colpi è micidiale. Il “Cappellini” perde un uomo, lo “Shakespeare” affonda. Ancora una volta, Todaro fa prevalere l’umanità sulle leggi della guerra: raccoglie venti naufraghi su una lancia e li traina verso l’isola del Sale nell’arcipelago di Capo Verde. A bordo del sommergibile viene trasportato il solo comandante del piroscafo, gravemente ferito. Come al solito, durante il viaggio, il cavo di rimorchio si spezza. Todaro ordina che i naufraghi siano presi a bordo e sistemati sopra coperta. Naviga così per un giorno e mezzo, quindi sbarca i superstiti inglesi all’isola del Sale. Il suo nome e il suo mito varcano la Manica. Passano appena pochi giorni ed è il terzo appuntamento col destino. All’alba del 14 gennaio le vedette avvistano un grosso piroscafo britannico, trasformato in incrociatore ausiliario. È armato di due cannoni e fila veloce: si chiama “Eumaeus”. Dopo un lungo inseguimento, l’attacco: la nave inglese ha inizialmente il sopravvento perché i suoi cannoni hanno una gittata più lunga del sommergibile italiano. Ma quando il “Cappellini” riesce a farsi sotto, i suoi colpi micidiali spazzano la coperta della nave. I cannoni inglesi continuano a sparare. Quanta gente c’è a bordo, quanti uomini? Todaro se lo chiede quando s’accorge che nonostante il piroscafo sia stato gravemente danneggiato, l’intensità dei suoi colpi non diminuisce. Anziché rinunciare, Todaro spinge il sommergibile ancora all’assalto: l’unico cannone diventa rovente per il ritmo dei colpi. Il cannoniere si scrolla via il sangue dalla fronte con una manata come fosse sudore. Todaro vorrebbe decorarlo lì, in piena battaglia, gli dice: “Sei autorizzato a darmi del tu”. Il pericolo è concreto: da un momento all’altro il sommergibile può essere avvistato. Todaro ordina l’immersione e si allontana dalla zona di combattimento. Ma è stato individuato: deve subire un attacco che procura al sommergibile gravi danni. Resta in immersione un’intera notte. Sfuggendo al nemico si rifugia nel porto neutrale di La Luz, nella Gran Canaria. Ci starà cinque giorni, poi, effettuate le riparazioni più urgenti, uscirà dal porto beffando cinque navigli inglesi che lo attendevano. Dopo queste imprese, il comandante Todaro è una leggenda scomoda:  resterà al comando del “Cappellini” ancora per diversi mesi, ma nell’autunno del 1941, con la consueta prassi di un normale avvicendamento, viene sbarcato. Torna sul mare coi motoscafi d’assalto, partecipa a numerosi scontri, entra a Sebastopoli, contro gli ordini dei tedeschi, alla testa dei piccoli mezzi d’assalto e viene infine inviato a comandare un “piropeschereccio”, il “Cefalo”, che appoggia i motoscafi d’assalto nelle missioni più ardite. Il 13 dicembre 1942 parte per una missione notturna, come quasi ogni notte: obbiettivo è il porto di Bona, in Tunisia. Ma il tempo è pessimo, l’azione non si può effettuare. Il “Cefalo” torna nel porticciolo di La Galite che lo ospitava: sono le otto del mattino. Gli uomini che hanno partecipato all’azione vanno a dormire, tutto è rinviato alla notte successiva, tempo permettendo. Va a dormire anche Todaro, nella sua cuccetta. Un quarto d’ora dopo, due “Spitfire” vengono avvistati mentre puntano sull’isolotto: la loro preda è il “Cefalo”: scendono a volo radente, mitragliando: un marinaio in coperta viene ucciso e la nave subisce gravi danni. Quando la contraerea riesce a mettere in fuga i due aerei inglesi, si cerca il comandante Todaro: è sempre nella sua cuccetta con gli occhi chiusi: non s’è neppure mosso: una scheggia, una sola, gli ha trapassato la tempia. Aveva detto, pochi mesi prima: “Io morirò quando il mio spirito sarà lontano da me”. Aveva 34 anni; sua moglie era in attesa d’un secondo figlio, che fu una bambina. Venne decorato con tre Medaglie d’Argento al Valore, due di Bronzo, due Croci di Ferro e una Medaglia d’Oro alla Memoria. (Tratto dalla Rivista New Corriere dei Lidi)


Nessun commento: