mercoledì 28 gennaio 2009

ricette della tradizione: anguilla aperta o spaccata

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Anguilla aperta o spaccata
Posta su una tavoletta in legno, l’anguilla va fissata con un chiodo
dalla parte della coda, squarciandola poi col coltello, tracciando
un solco profondo dal lato della pancia, partendo dalla coda e scendendo
sino alla testa. A questo punto si praticano altri due tagli ai lati
della lisca per facilitarne l’asportazione. Poi, con un colpo deciso, si
apre la testa, togliendo le interiora (alcuni preferiscono lasciare il fegato).
Dopo averla lavata bene e salata, la si pone in graticola. L’anguilla
è cotta al punto giusto quando assume un colore giallo oro, che
in dialetto si dice ‘là dal claur dl’or’. All’interno del casone da pesca
e presso le famiglie dei vallanti era consuetudine praticare la
prima scottata sulla polpa (in dialetto comacchiese
si diceva ‘in pàs’), dopodichè la
si girava immediatamente dall’altra
parte. Presso taluni ristoranti
e focolari domestici
viene posta in gratella
indifferentemente.
Curiosità
Un tempo, le
lische eliminate,
non venivano
gettate ma anch’esse
cucinate in gratella
e consumate, soprattutto se contenevano una certa quantità di
polpa. Ciò poteva verificarsi allorché colui che aveva il compito di
prepararle, o era poco esperto oppure, avendo poco tempo a disposizione,
lavorava in fretta, lasciando attaccata alla lisca un determinato
quantitativo di polpa. Sempre nei tempi remoti e comunque
sino agli anni Cinquanta, la pelle dell’anguilla, seccata e tagliata
a strisce e fissata su un bastone di legno, veniva utilizzata per
imprimere la giusta spinta alle così dette trottole di legno. In vernacolo
si diceva ‘le scùrie dle pisaròle’1. Un altro uso era quello di
impiegarla, sempre tagliata a strisce sottili e seccata, per ottenere
i lacci o stringhe per scarponi.
le ricette della tradizione
1 G. F. Bonaveri, Piccolo Vocabolario di Comacchio, p. 129: "Pisarola è quel legno, di
figura piramidale che i Toscani chiamano trottola e i Latini trochus vel turbo così detto
da un giovanetto pisano che animò i fanciulli a giocarlo. pisarola è attestato nel
latino medioevale (sella) ma con significato diverso: nel 1306 a Modena come "peso
della balestra" e a Faenza nel 1414 "ad torturam, pisarolam, vel manganellam".
Ais IV 439; "pìsaròla e 459 (Ravenna) "piròna". Azzi: "pis": "trottola". Nannini: "Pisar":"trottola";"
pisarolla": "pisar". Maranesi: "pisaròla": "fusaiolo", cerchietto di piombo od
altro che mettesi in fondo al fuso, perché così aggravato giri meglio: Latino pisum.
Voce ancora oggi usata dai dialettologi comacchiesi.

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