mercoledì 25 febbraio 2015

Storia e curiosità locali in pillole

Fino alla fine degli anni Venti, dov’è attualmente il campo sportivo, al termine di Corso Mazzini (ex Corso Vittorio Emanuele), esisteva un giardino pubblico. Era l’unica area verde attrezzata a fronte di una realtà ambientale costituita esclusivamente d’acqua. ... Al centro vi sorgeva una fontana di forma circolare. Alcune panchine di marmo bianco, allineate al viale alberato, consentivano alle persone di fermarsi a conversare. ... In occasione della festa dei ss. Pietro e Paolo e in altri giorni festivi si tenevano spettacolari concerti bandistici. Nel 1916 il Commissario preposto all’amministrazione comunale affittò per un anno il giardino al conduttore della manifattura dei pesci di Valle. La gente disapprovò questo atto e alla scadenza del contratto il Commissario ritornò sui propri passi. Col tempo, abbattuto il giardino per trasformarlo in campo sportivo, la figura del giardiniere si trasformò in quella di custode. Nel 1930 il giardino lasciò il posto al campo sportivo: quello di Piazza degli Eroi (ora Piazza Roma) era diventato poco consono per i tornei di calcio che la squadra lagunare si accingeva ad affrontare. Quella trasformazione, voluta anche dal presidente della squadra, penalizzò molto i cittadini. Il Campo Sportivo del Littorio fu costruito nel 1930 a cura del Comune, su un’area di 20.000 mq. Cintato su due lati da rete metallica, non aveva tribune, docce e wc. Aveva una pista podistica larga 5 m. dello sviluppo di 323 m senza un rettilineo di m 115. Il fondo del terreno era erboso ed era sprovvisto di buche per il salto e pedane per i lanci. Le dimensioni erano di m 90 X 55 con fondo di terreno erboso e senza altre installazioni. I lavori iniziarono il 17 maggio 1930 e furono terminati il 28 ottobre dello stesso anno. L’opera costò 12.000 lire e fu progettata dall’Ufficio Tecnico Comunale. F. Luciani 
(Tratto dalla rivista New Correre dei Lidi)

martedì 17 febbraio 2015

Storia e curisosità locali in pillole "L’ALBERGO MAZZINI IN MAGNAVACCA"

Magnavacca: tale termine sta a significare una vasta area di terra incolta. La costa è stata, fin da tempi remoti, approdo frequentatissimo di velieri e piroghe. Alfredo Panzini, ne “La lanterna di Diogine”, ricorda Magnavacca come “uno dei tanti piccoli porti dell’Adriatico, quale rifugio alle tartane e ai bragozzi”. Con Decreto Reale n. 607 del 13 aprile 1919 Magnavacca divenne Porto Garibaldi, in omaggio a Giuseppe Garibaldi, l’Eroe dei Due Mondi, dopo lo sbarco avvenuto alla Piallazza il 3 agosto 1849. Oggi Porto Garibaldi è un’affascinante ed affollatissima località balneare, ricca di strutture moderne ed attrezzate. Gli stabilimenti balneari, funzionali e confortevoli, offrono ai villeggianti ogni tipo di divertimento. I vecchi ristoranti di ieri, già noti oltre i confini della provincia, Tunon, alla Stazione, Fortuna, Impero di Roma, Albergo Mazzini ecc., hanno lasciato il posto a locali provvisti di confort che l’attualità esige. A proposito dell’Albergo Mazzini, di séguito si riporta il testo di un manifesto affisso sui muri del capoluogo e di Magnavacca, che ne annunciava l’apertura:

Col 29 corrente giugno si è aperto in Magnavacca, provincia di Ferrara, l’Albergo “Mazzini”, con relativo stallaggio, situato nel punto più centrale e pittoresco della riviera. È uno stabilimento vastissimo, fornito di spaziose e ben arieggiate camere, di terrazzo da cui gode convenientemente rispondere alle esigenze della comodità e dell’igiene. Nell’interno havvi l’Ufficio Postale-Telegrafico.
I conduttori garantiscono un servizio d’alloggio, di ristorante e di caffè.
Inappuntabile ed a prezzi modicissimi.
Lusingasi pertanto di vedersi onorati da numerosa clientela.


Magnavacca, 21 giugno 1892
Pietro Carli fu Luigi
Valentino Cavalieri fu Gius.
Comacchio tipografia Sansoni

(Tratto dalla Rivista New Corriere dei Lidi)

mercoledì 11 febbraio 2015

CUCINA CURIOSA "L' ortica"

Nella sua opera Materia medica, primo trattato medico e farmacologico romano, Dioscuride diceva che “il seme di ortica bevuto nel vino cotto eccita i giochi d’amore, e preso in elettuario con del miele, riattiva la respirazione” e dà tutta una serie di ricette per curarsi con l’ortica. Si sa che gli orti di castelli e monasteri avevano sempre un angolo riservato alle ortiche, che crescevano spontaneamente e che in determinati periodi dell’anno venivano tagliate, in modo da avere sempre piante fresche e vigorose. Nello spazio delle ortiche non dovevano crescere erbacce e gli animali non potevano accedervi. In Primavera se ne raccoglievano le punte, molto apprezzate in cucina. Si facevano bollire con le verdure, poi si mangiava il tutto e si beveva l’acqua di cottura. Le punte delle ortiche cotte venivano anche mischiate ai formaggi molli e indirizzate ai sofferenti di gotta e di dolori reumatici. In Primavera e in Estate si consumavano sempre ortiche cotte per sfruttarne le qualità depurative. E Pietro Clerico affermava che “in primavera il sangue va lavato”. L’ortica veniva particolarmente consigliata a “coloro che hanno le orine dolci”, ossia ai diabetici, consiglio che anche oggi andrebbe apprezzato perché le ortiche sono ipoglicemizzanti. Consigliate in questo senso anche dal noto esoterista Tommaso Palamidessi, che molto si occupò di erbe e medicamenti. Molte le qualità dell’ortica, utilizzata notoriamente anche in cucina. “L’ortica calma l’insonnia e i conati di vomito”, diceva la Scuola Salernitana. Ed era utile anche esternamente, per combattere i geloni o per riattivare la circolazione sanguigna. Non a caso diversi autori medievali si riferiscono ad essa come alla “pianta della giovinezza. (Tratto dalla rivista New Corriere dei Lidi)

giovedì 5 febbraio 2015

Canale Emiliano Romagnolo

Il Cavo Napoleonico o Scolmatore del Reno è un canale artificiale multifunzione che collega il Reno al Po. Lungo 18 km, parte dal Reno poco a valle di Cento (FE) ed arriva nel Po presso Salvatonica di Bondeno (FE). In grado di far defluire anche 1.000 m³ di acqua al secondo, è caratterizzato da un ampio alveo praticamente orizzontale, che consente, nella maggior parte del suo corso, il deflusso idrico sia dal Po al Reno che viceversa. La sua principale funzione è di Scolmatore del Reno, sfruttata occasionalmente, in concomitanza con le maggiori piene del Reno, quando il Po non è in piena al contempo. Lo stesso Cavo fornisce una sorta di bacino che assume la funzione di cassa di colmata, potendo contenere decine di milioni di metri cubi d'acqua. La funzione secondaria, sfruttata nella stagione secca, è quella di alimentare il Canale Emiliano Romagnolo per l'irrigazione agricola quando tutti i corsi d'acqua romagnoli hanno portate insufficienti ai fabbisogni. Come concezione di scolmatore delle grandi piene del Reno, il canale nasce nel 1807, sotto  Napoleone, al quale i bolognesi avevano chiesto di provvedere definitivamente alla sistemazione idraulica del Reno. Storicamente le piene del fiume causarono gravissime esondazioni nella pianura, anche dopo la realizzazione del Cavo Benedettino che ne aveva addotto le acque nell'antico alveo del Po di Primaro per poi sfociare in mare. Gli scavi iniziarono a Sant'Agostino, dove il Reno piega bruscamente verso est, con lo scopo di indirizzarne le acque nel Panaro e poi nel Po, ma con la  caduta di Napoleone, nel 1814, l'opera fu abbandonata e ripresa solo nel 1954, dopo le esondazioni avvenute a Gallo di Poggio Renatico nel 1949 e nel 1951. L'opera risultò più vasta ed imponente di quanto progettato in epoca napoleonica, ma il nome dell'imperatore fu mantenuto per ragioni storiche. (Tratto dalla Rivista New Corriere dei Lidi)


domenica 1 febbraio 2015

"CUCINA CURIOSA" CECI, PANISSA E FARINATA

Originari delle regioni attorno al Caspio, largamente importati dalle galee genovesi. Ma erano già noti ai latini, Cicerone, ricordiamo, apparteneva alla famiglia di proprietari terrieri che vantava appunto il soprannome ereditario di Cicero, proprio per l’abilità acquisita nella coltura del nobile legume. In genovese il termine cece si dice seixao, con una pronuncia talmente ostica ai foresti che in passato si dice fu utilizzata per riconoscere e smascherare alcuni che, per varie ragioni, fingevano di essere genovesi. Tipicissima di Genova e della Liguria, insieme alla farinata, c’è la panissa, a base di farina di ceci. La farinata, difesa con apposito decreto, nel Quattrocento, che proibiva l’impiego di olio scadente, ha viaggiato oltre i confini liguri, nell’Alessandrino, in Lunigiana, nel Nizzardo (“socca”), in Versilia (“cecina”), ma anche a Ferrara (dov’è detta semplicemente “ceci”... ma non è proprio la stessa cosa!) e in altre località. Del resto, anche in Liguria si fa in molti modi: a quella tipica genovese, si affianca quella savonese (che aggiunge il rosmarino, giovane e di foglie morbide) e quella levantina (con l’aggiunta di bianchetti), oltre alla farinata bianca (che si fa con farina di frumento. In disuso il tortellasso, realizzato con metà farina di ceci e metà di frumento). La panissa, invece, non ha molti parenti in Italia, salvo a Palermo (le “panelle fritte’) e in Corsica, portatavi dai marinai genovesi. Così come a Marsiglia (la “cade”), Tolone (la “tout caud” servita come zuppa con foglie d’alloro), Algeri (la “calentica”). (Tratto dalla Rivista New Corriere Dei Lidi)