venerdì 26 agosto 2011

IN GIRO PER LA CITTÀ DI COMACCHIO...

QUARTIERE ISOLA - VIA GATTAMARCIA
ATTUALE VIA CAVOUR


Fra via Mazzini e Piazzetta Ugo Bassi si innalza il maestoso Duomo di Comacchio, dedicato a San Cassiano martire, patrono della città. La prima cattedrale fu edificata nel 708, sotto il Vescovo Vincenzo e restaurata, poi, nel 1200. Demolito il vecchio fatiscente Duomo il 25 marzo 1659, festa dell’Annunciazione, il Vescovo Sigismondo I pose la prima pietra della nuova fabbrica. Nel 1708 si annuncia gioiosamente che la cattedrale è finita, ma non ancora completa per officiare tutti i giorni. Nel 1740 venne solennemente consacrata. La bellissima Via Cavour è uno dei tratti più affascinanti e antichi che, assieme a Via S. Pietro, interseca il lungo tratto dalla Chiesa dei Cappuccini a quanto rimane di quella di Sant’Agostino. Una conformazione che dà l’immagine di una croce. Questa via un tempo era vivissima e comprendeva diverse osterie, un teatro, la Chiesa di Sant’Antonio di Padova ed emergenze architettoniche di notevole importanza. L’ambiente era tutt’uno con la Valle Isola. Addirittura alcuni uccelli acquatici palustri venivano a posarsi a pelo d’acqua sugli alvei interni. La vivacità di Via Cavour si è interrotta, in parte, con la bonifica di Valle Isola ed in parte con l’abbandono delle tradizioni popolari, dopo gli anni Sessanta del secolo scorso. In epoca recente gli abitanti del quartiere Isola attendevano, con grande entusiasmo, due feste: quella del 13 giugno, festa di Sant’Antonio di Padova, e il Corpus Domini, che si svolgeva ogni quattro anni. La festa di Sant’Antonio era sentita in modo particolare dagli abitanti del rione: il santo, adagiato sull’apposita base, veniva portato a spalla da quattro devoti appartenenti alla confraternita lungo le vie Cavour, Carducci, Piazza Umberto I (attuale Piazza Folegatti), XX Settembre e per un breve tratto di Corso Mazzini. Anticamente la via era chiamata Gattamarcia (la targa posta all’inizio della strada mostra la dicitura Via Cavour già Gattamarcia). A questo punto è lecito chiedersi il perché di tale denominazione. Il cambio è stato senz’altro un riscatto toponomastico importante per la stessa strada dedicata a Camillo Benso conte di Cavour, statista d’altissimo livello che spese la maturità della sua vita per affermare anche nella politica le sue idee liberali. La denominazione di “Gattamarcia” quasi sicuramente era riferita al fatto che in passato in quel tratto di strada o di canale era abitudine gettare di tutto, compreso animali morti. Sembrerebbe una forzatura o un modo semplice di leggere il binomio Gatta-marcia. Tuttavia, nel caso specifico, Gerolamo Merchiorri, nella sua “Nomenclatura delle Piazze di Ferrara”, scrive (pagina 238): “Via della Vittoria comincia da “Via Gattamarcia” dal brutto vezzo che avevano gli abitanti di buttare sulla via animali morti, gatti in specie {...} E l’incivile usanza era comune ad altre vie e ad altre località. Infatti del 1473 il Duca Ercole I d’Este faceva chiudere uno stradello tra la contrada di S. Nicolò (Via Mazzini) e quella di Via Gusmaria, perché nido di ladri, di malandrini, di sodomiti e perché vi gettavano letami, cani, gatti e galline morte! Di una via Gattamarcia si ha notizia nel 1361 nel villaggio di Gaibana: e anche a Monestirolo una via o località, si appella tuttora con si brutto nome”. In realtà, del termine Gattamarcia, che ricorre in molte località italiane (anche come Gattamorta, Gattamora ed altre varianti), pare accertata la provenienza dal longobardo “gatt” (acqua), “marcia” in quanto stagna o di scarico. Starebbe quindi a indicare un comunissimo canale di scolo, ricovero di acque di scarto, e non necessariamente di animali. In Via Cavour, dove attualmente si trova la sede del circolo ricreativo “il Bastone”, vi era un edificio gentilizio, dimora di una ricca e benestante famiglia trasferitasi in altra città. Fu sede scolastica per breve tempo. Dopo il suo abbandono, fu occupato dalle famiglie più indigenti di Comacchio, subendo così un generale degrado, tanto che al nobile palazzo fu affibbiato l’appellativo di “Palazzone”, l’alloggio dei più poveri, perché al suo interno vivevano persone in gran parte disoccupate.
Franco Luciani
Cattedrale di Comacchio - Foto d'epoca della collezione privata di Franco Luciani
(Tratto dalla rivista New Corriere dei Lidi)

OGNI STRADA O PIAZZA, RACCONTA UNA STORIA... QUESTA È QUELLA DI VIA BORGHETTO, L'ATTUALE VIA SAN GIOVANNI BOSCO A COMACCHIO


Via Borghetto (l’attuale Via S. Giovanni Bosco)

Siamo sul sagrato antistante l'ingresso principale della basilica del Duomo; dietro si erge il Palazzo Tura, al palas dil Ghespérìn, già Palazzo Zanoli, un'emergenza architettonica della Comacchio antica. Di fianco, a sinistra, inizia uno stretto percorso che s'insinua fin sul retro dell'abitato di Corso Mazzini, lambendo la riva del canale Lombardo. È un vicolo che non sembra avere dei motivi particolari per approfondire elementi di storia. Eppure le denominazioni toponomastiche, che si sono susseguite nel tempo, possono raccontarci tanto di quell'angusto stradello, anticamente detto Burgat, Borghetto. Gli anziani lo ricordano col nome di Borghetto dei Venti. I1 soggetto, come possiamo verificare, è il vento, o meglio le correnti d'aria che si scontravano (e si scontrano tutt'oggi) facendo volare i nostri berretti e flagellare i nostri ombrelli. Lo stradello, però, non ha avuto timori di certi eccessi atmosferici. Successivamente, proprio per la vicinanza del tempio più importante della città -il Duomo- assunse una denominazione più degna e nobile; Borghetto del Duomo. Nel 1894 arrivarono a Comacchio i preti salesiani i quali in accordo con il vescovo presero possesso di un vasto tratto di caseggiati del lato sinistro del vicolo (guardando VaIle Isola) fondandovi un oratorio, un cortile per i giochi, un teatro e mettendo a disposizione della gioventù tutta la loro operosa carità cristiana. Proprio per questi autentici valori e per ricordare perennemente il Santo dei giovani, nel 1930, l'allora vescovo di Comacchio Sante Gherardo Menegazzi, si prodigò presso l'Amministrazione Comunale affinché il viottolo (ormai detto dei salesiani) fosse intitolato al Beato Giovanni Bosco (l). Dovranno trascorrere ben diciannove anni per avere la tanto sospirata decisione: il 30 aprile 1950 fu finalmente inaugurata la Via S. Giovanni Bosco. Il 17 settembre dell'anno 1950, in occasione dell’anno santo, si festeggiò con una grande cerimonia la nuova via. Nell'occasione celebrò la Santa Messa il vicario generale della diocesi di Comacchio mons. Luigi M. Carli.
di Franco Luciani
(1) Nel 1930 don Bosco non era ancora stato proclamato santo. Beatificato il 19 marzo 1929, fu proclamato santo da Pio XI il 1° aprile 1934. (tratto dalla rivista new Corriere dei Lidi)

sabato 20 agosto 2011

Mae West - Le frasi famose!

Autentica sex-symbol degli anni Venti e Trenta, Mae West, attrice americana di cinema e teatro, era famosa anche per le sue battute. Fuori dal suo camerino c’erano sempre ad attenderla molti ammiratori, con i quali spesso si intratteneva fino a tardi. Una volta, quando le riferirono che dieci uomini l’aspettavano per accompagnarla a casa, lei rispose: “Sono stanca: mandatene via uno”. Quando un’amica, osservando la collana di pietre preziose che portava al collo, esclamò: “Bontà divina, che diamanti stupendi!”, lei fece la pudica e disse: “La bontà, non ha niente a che farci”. ( tratto dalla rivista New Corriere dei Lidi)

I segreti per vivere a lungo

...I segreti per vivere a lungo? Nel 1967, a Ilkhych sulle rive del Caspio si festeggiarono i 100 anni di matrimonio della coppia Balakiski. Al momento della festa lui aveva 130 anni, lei 111. Fu chiesto loro il segreto della longevità. Lui disse: “Lei ha sempre avuto un buon carattere”. Lei: “Lui mi ha sempre trattata bene. avrebbe potuto prendere molte altre mogli. non l’ha mai voluto”. Alla domanda: qual è il vostro segreto? Memé Plume, 108 anni nel 1970, rispose: “L’amore fedele, per non avere delle grane. E le corse in auto”. Un altro disse: “La birra!” Ne beveva ben 5 litri al giorno. Altri ancora: “Vedete un po’ voi… ho sempre guardato avanti e sono molto curiosa”; “Vivete come il cuore vi detta e come vi pare”; “Sapete che sono condannata da mezzo secolo? Pare che io abbia un cancro allo stomaco”. Ci sono centenari che fanno diete particolari, e mangiano solo latte e minestra, oppure due litri di latte con 14 zollette di zucchero, oppure 4 dolci differenti ad ogni pasto, oppure vino zuccherato e aspirina. Uno non rinuncia a 4 pasti al giorno a base di latticini, miele, formaggio di capra, legumi, niente carne, acqua di fonte e tutte le sere zuppa di cipolla e 16 ore al giorno all’aria aperta... Se davvero c’è un denominatore comune per tutti i centenari, forse è che possiedono sempre, qualunque sia il loro ceto sociale, una buona dose di humour, uno spirito affabile, e l’attività mentale e fisica aiutata dalla curiosità e dagli stimoli, quando invece una delle caratteristiche costanti dell’invecchiamento ‘normale’ è la perdita dell’allegria e il timore delle novità. C’è stato un ultracentenario americano che pilotava l’aereo, un russo che a 108 anni scalò la parete ovest del monte Elbruz. Senza dubbio gli studi sugli ultracentenari hanno individuato, se non il segreto, almeno uno dei segreti della longevità nel mantenere i propri ritmi vitali: ognuno di noi ha il suo orologio, i suoi ritmi, i suoi momenti di assorbimento e di repulsione. Contrariare questi ritmi equivale ad esporsi a disturbi senza motivo. Bisogna mangiare quando si ha fame, non quando vuole la convenzione, e così tutto il resto. (tratto dalla rivista New Corriere di Lidi)

domenica 7 agosto 2011

Curiosità sull’anguilla di Comacchio


A proposito della nostra sorella delle Valli, la tradizione popolare voleva che mangiare il cuore di un’anguilla conferisse poteri divinatori. Bisognava fare attenzione, però, essendo che l’appetito vien mangiando, a non mangiarla tutta: ciò, infatti, toglieva per sempre l’uso della favella. Una tradizione inglese sosteneva la tesi per cui un crine di cavallo tenuto nell’acqua si trasformi in un’anguilla. Certo gli allevatori sarebbero contenti. E’ noto, inoltre, che i guerrieri di alcune tribù d’Indiani d’America, fra le quali quella dei famosi Cherokee, si strofinassero la pelle con le anguille per diventare viscidi e difficili da afferrare in combattimento. Un rimedio popolare suggeriva infine che per guarire il marito o la moglie dal vizio del bere si doveva immergere, all’insaputa del coniuge e possibilmente con una certa determinatezza, un’anguilla viva nel suo vino, ciò che avrebbe tolto la voglia di alcol per sempre.
(Tratto dal New Corriere dei Lidi)

venerdì 5 agosto 2011

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